I veli dell’ignoranza
Una delle metafore più conosciute e significative usate per parlare dello stato di “ignoranza” in cui dimora la maggior parte di noi, esseri umani, rispetto alla conoscenza della Vera Natura della Realtà, è senz’altro quella derivata dalla Tradizione spirituale orientale, che descrive i “veli che ricoprono e nascondono” la Verità, impedendone la visione.
Prendendo spunto da questa espressiva metafora, vorrei provare a descrivere come, a volte, accada che i veli dell’ignoranza si sollevino o si lacerino (sempre secondo l’immagine metaforica), permettendo alla luce della Verità di rivelarsi allo sguardo del ricercatore.
Il primo strato di “copertura” si solleva nel momento in cui si comprende di non essere ciò che si è sempre creduto di essere, quando, cioè, si riconosce, solitamente grazie alle indicazioni di qualcuno che lo ha già riconosciuto, di non essere un pensiero, di non essere un’emozione, di non essere una sensazione fisica, di non essere una percezione sensoriale, ma di essere, piuttosto, ciò che di tali “oggetti” è consapevole, ciò che li conosce, che si accorge del loro sorgere e del loro cambiamento, ciò che rimane sempre presente a testimoniare quando un pensiero arriva, poi cambia o si dissolve, un’emozione viene provata, poi si trasforma o finisce, una sensazione si manifesta, poi si modifica o svanisce, ad una percezione sensoriale ne segue un’altra.
Il primo “svelamento” accade, quindi, con la realizzazione di essere la Consapevolezza che vede e conosce ogni pensiero, ogni emozione, ogni sensazione fisica, ogni percezione sensoriale e che tale Consapevolezza, pur essendo tutt’uno con gli oggetti che conosce, non coincide con essi: quando un pensiero, dopo essere comparso, se ne va e ne sopraggiunge un altro, quando sorge un’emozione e poi si dissolve, lasciando il posto ad un diverso stato d’animo, quando avvertiamo una brezza di vento leggero che passa sulla pelle e ci rinfresca, quando udiamo un suono che poi si affievolisce fino a sparire, ciò che di quei pensieri, di quelle emozioni, di quelle sensazioni, di quelle percezioni è consapevole, rimane presente ad assistere al loro sorgere e al loro dissolversi, senza sparire con loro.
Quel qualcosa, qualunque cosa sia, che è consapevole di tutto quello che accade, è ciò che chiamiamo “io” e che, fino a quando non indaghiamo più attentamente, identifichiamo erroneamente con la mente e con il corpo, coprendo, con il “velo” di questa falsa identificazione, la Natura della nostra Realtà.
Spesso si accede al primo fondamentale livello di comprensione, semplicemente ponendosi la domanda “Io sono consapevole?”.
La certezza che accompagna la nostra risposta affermativa ci porta a contatto con la Realtà della nostra Natura essenziale.
Il “sì” che pronunciamo in risposta a tale domanda, sia che sorga immediatamente, sia che giunga dopo un breve intervento della mente, cioè dopo qualche attimo di riflessione, è assolutamente indubitabile e, pur essendo un pensiero espresso in forma verbale (come ogni parola è), deriva direttamente dalla Sorgente di tutti i pensieri e di tutto ciò che esiste, da Ciò che è sempre presente e consapevole di tutto ciò che accade, dalla nostra vera Realtà.
Il “sì” che pronunciamo senza ombra di dubbio quando ci viene chiesto se siamo consapevoli, proviene da Ciò che è presente e consapevole in questo momento ad ascoltare o leggere queste parole, che era presente stamattina, consapevole dei pensieri che hanno attraversato la nostra mente al momento del risveglio, che era presente e consapevole dei pensieri e delle emozioni che abbiamo provato scartando i regali del nostro decimo compleanno. Potremmo non ricordare quei pensieri e ciò che in quel momento abbiamo provato, a seconda della nostra età attuale, è assai probabile che non li ricorderemo, ma, anche in questo caso, dovrebbe essere presente la piena certezza che la consapevolezza che in quel momento conobbe i nostri pensieri e le nostre emozioni, è la stessa consapevolezza che stamattina si è resa conto dei pensieri e delle sensazioni apparsi al momento del risveglio e che ora conosce queste parole.
Io, in essenza, non sono un pensiero, non sono un’emozione, non sono una sensazione fisica, non sono una percezione sensoriale, la mia Realtà si trova in ciò che di tali “oggetti” è consapevole, che li conosce, ne fa esperienza e che rimane sempre presente ed immutabile ad assistere al loro sorgere, al loro cambiamento, alla loro dissoluzione, al loro continuo movimento.
Il primo passo nel processo di realizzazione della Vera Natura della Realtà si compie quando diventiamo “consapevoli di essere consapevoli”, quando realizziamo di non essere ciò che abbiamo sempre creduto di essere, magari rendendoci contemporaneamente conto di non aver mai realmente indagato su chi o cosa veramente siamo.
A questo primo fondamentale passaggio, segue, solitamente, la fase di esplorazione della natura della Consapevolezza che abbiamo scoperto di essere: ci interroghiamo sulle sue caratteristiche, ci chiediamo che aspetto abbia, di cosa sia fatta, quanto sia grande, se abbia un colore, una forma o qualche particolarità che ci aiuti a comprenderla.
Quasi sempre, dopo aver realizzato di essere Ciò che è consapevole dei pensieri (quindi della mente), delle sensazioni fisiche e delle emozioni (quindi del corpo), delle percezioni sensoriali (quindi del mondo), la nostra attenzione inizia a distogliersi da questi oggetti, da cui fino ad ora è stata costantemente e pressoché esclusivamente attratta e coinvolta, e si rivolge a Ciò che, qualunque cosa sia, di tali oggetti è consapevole, a Ciò che, qualunque cosa sia, ci siamo resi conto di essere.
Questo è il “momento” in cui viene sperimentata l’illuminante impossibilità di trovare ciò che si sta cercando: l’attenzione si rivolge infatti alla Consapevolezza con l’unica strategia di cui dispone, quella, cioè, di identificarne le caratteristiche oggettive, quali forma, colore, dimensione, età, profumo, etc.
Nonostante gli sforzi in tal senso possano anche continuare a lungo, prima o poi apparirà in tutta la sua evidenza, l’impossibilità di trovare caratteristiche oggettive alla Consapevolezza che abbiamo scoperto di essere, e, con tale impossibilità, la definitiva comprensione che Ciò che siamo non ha la natura di un oggetto e, per questo motivo, non può e non potrà mai essere conosciuto (afferrato, compreso, individuato) dalla nostra attenzione, cioè dalla nostra mente, secondo il suo usuale e unico metodo, quello del soggetto che conosce un oggetto con caratteristiche “finite”.
Ora possiamo renderci conto che Ciò che siamo, la Consapevolezza che abbiamo riconosciuto di essere, non possiede i limiti che ogni oggetto, in quanto tale, possiede e, finalmente, siamo pronti per riconoscere che la Consapevolezza che siamo non è “personale”, non è, cioè, “racchiusa” nel nostro corpo e separata dalla Consapevolezza racchiusa negli altri corpi, né è separata dal mondo come, forse senza neanche rendercene conto, avevamo sempre immaginato o creduto.
E’ un po’ come rendersi conto che lo “spazio” racchiuso in un vaso, è lo stesso spazio che si trova anche all’esterno del vaso e che “interno ed esterno” in realtà non esistono.
Grazie a questa comprensione, un altro strato di copertura della Verità si solleverà, un altro “velo d’ignoranza” si dissolverà.
La Luce della Verità, però, si mostrerà in tutto il suo fulgore, soltanto quando verrà pienamente vissuta la totale illusorietà del sé personale, del “vaso” che pensiamo di essere.
La realizzazione di Ciò che veramente siamo, seppure, in un primo momento, possa manifestarsi soprattutto a livello “intellettuale”, per completarsi dovrà trasformarsi in un vero e proprio vissuto (sia pure di attimi “fuori dal tempo”) della “non-esistenza” dell’entità corpo/mente che abbiamo sempre creduto e sentito di essere, con cui ci siamo da sempre identificati.
L’entità corpo/mente che riteniamo reale e con cui ci identifichiamo, in verità è una sorta di “illusione percettiva”: la mente raggruppa pensieri, emozioni, sensazioni fisiche, percezioni sensoriali in un “agglomerato” (l’entità corpo/mente con cui, appunto, ci identifichiamo) che giunge a possedere caratteristiche di coesione e separatezza che, in realtà, non gli appartengono.
Un pensiero sorge, un suono viene udito, un’emozione appare, un formicolio viene avvertito, il flusso della vita è continuo e continuamente mutevole, tutto appare nella Consapevolezza, è percepito, conosciuto dalla Consapevolezza ed è fatto soltanto di Consapevolezza.
Vivere la completa “disidentificazione” dal corpo e dalla mente che abbiamo sempre creduto di essere è un’esperienza “fuori dal tempo”, che, per accadere, generalmente necessita di un graduale processo di “smantellamento” di credenze solidamente costruite (e mai realmente osservate liberi da pregiudizi), di un progressivo riconoscimento dei falsi presupposti su cui abbiamo eretto le nostre certezze.
Perché i veli dell’ignoranza si dissolvano completamente, la realizzazione di Ciò che siamo, dell’unica Realtà esistente, della “illusorietà” del sé personale che abbiamo sempre creduto reale, dovrà essere pienamente vissuta, non soltanto “compresa intellettualmente”, ma potrà essere “preparata” dal costante impegno nello “studio” della nostra esperienza, dall’esplorazione, libera da preconcetti, di ciò che accade di momento in momento nella vita, dal riconoscimento di tutto ciò che abbiamo creduto vero e invece non lo è.
Esiste solo la Consapevolezza (Essere, Assoluto, Supremo, Energia, Dio, Coscienza, Sé Superiore, Uno, Quello, etc. i nomi possono essere tanti, ma conta solo Ciò a cui si riferiscono e che mai potrà essere descritto o definito) e tutto ciò che crediamo possieda un’esistenza reale e separata (gli oggetti del mondo, entità materiali, vegetali o animali, separate da noi stessi, entità corpo/mente) in verità sono soltanto “apparenze”, forme che la Consapevolezza assume temporaneamente, senza mai diventare altro da se stessa, proprio come le onde non saranno mai altro che oceano.
Monica
31 luglio 2015 @ 7:12
ciao Moksha
che bello questo post !!! meravigliose parole di Verità
Ricollegandomi ai miei soliti interessi astrologici, penso allo zodiaco che parte con l’Ariete governato da marte, deciso ad affermare la sua unicità..a conquistare il suo spazio nel mondo..e termina con i pesci, governati da nettuno…dove tutto si è dissolto, non c’è più il soggetto/oggetto, non c’è più separazione tra dentro e fuori, non ci sono confini, ne mete da conquistare…tutto E’.
Ti abbraccio
Sophia
1 agosto 2015 @ 14:38
Grazie del tuo feedback Sophia!
il più bel dono per l’impegno che dedico a questo blog è di sapere che i messaggi scritti risultano chiari, comprensibili e possibilmente “utili”, come segnali di orientamento ai ricercatori della Verità quale tu sei.
Condividiamo l’amore per l’Astrologia e il tuo commento mi trasmette con grande efficacia l’immagine del viaggio che conduce l’ego a scoprire la sua irrealtà: il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono, ma al termine del percorso di ricerca, l’inesistenza del sé separato che pensavamo di essere si rivelerà con tutta la sua forza, permettendo il dissolvimento dell’illusione nell’Unica Realtà esistente.
Ricambio il tuo abbraccio con affetto
A presto
Moksha
2 settembre 2015 @ 15:24
Ottimo blog, complimenti.
Tutti i post del sito, scritti in maniera chiara, con uno stile ed una forza che è garanzia di esperienza, che sa di vissuto, non possono che testimoniare il magnifico riconoscimento a cui sei andata incontro.
La pace e la serenità prendono il sopravvento.
Cosa ne dobbiamo fare però, di qualcuno che non vuole la pace e la serenità? Di qualcuno a cui non interessa particolarmente vivere una vita in sofferenza o nella gioia più assoluta?
Tutti i percorsi, i sentieri autentici, partono dal presupposto che vi sia una condizione dell’ essere da riconoscere, per cui all’ avvenuto riconoscimento di questa condizione, sia esso improvviso o graduale, si realizza finalmente che in realtà non vi era nulla da fare (realizzazione che comunque, al limite del paradosso costituisce di per se una meta da raggiungere, con buona pace di chi dice che non vi è nulla da raggiungere!).
Ad ogni modo, lo schema è pressappoco questo: sofferenza > riconoscimento > serenità .
E se appunto ci fosse qualcuno che considerasse insoddisfacente la serenità e la pace interiore, poichè ciò che egli cerca non è esprimibile tramite una condizione, quasi quasi che addirittura la vita non sembrerebbe adatta al conseguimento della suddetta ricerca, una ricerca di un qualcosa di talmente alieno dall’ esistenza da trovare soddisfazione forse nell’ inesistenza?
Mi si potrebbe dire che, effettivamente è ancora la mente a parlare, ed a volere, tramite i suoi intricati sistemi, sabotare un riconoscimento che, nel momento in cui avviene spazza via ogni dubbio per il solo fatto di essere presente. Forse il risveglio è questo… la mente continua a sabotarlo ed a ripetere che non è ciò di cui si ha bisogno, cercando di anticipare e prevedere gli effetti di tale condizione, fallendo miseramente, poichè fin quando non avviene, nulla può essere detto. Come chi per assurdo, non conoscesse gli effetti dell’ essere sfamato, e di fronte ad un pasto, cercasse di convincersi che anche mangiandolo rimarrebbe affamato.
Forse le cose stanno in questo modo, ed il discorso precedente vale come polvere sulla strada.
Ma se così non fosse, sono nei guai.
Se una volta attraversato questo spazietto angusto che chiamiamo materia, mi ritrovo con il solito la cui intensità è non quantificabile (ed ho il forte sospetto che ciò accadrà), allora, in quel momento avrò la certezza che nessuna parola, nessun ricordo,nessun maestro o divinità potrà risolvere .
Forse sarà il momento in cui, anche Dio, terribilmente dispiaciuto, mi rivelerà di essere anch’ egli alla ricerca di , e con una chiassosa risata ci metteremo in viaggio nell’ oltre Dio…
3 settembre 2015 @ 0:40
Caro Stefano,
benvenuto nel blog e grazie per il tuo commento.
Leggo e rileggo le tue parole cercando di capirne il senso autentico che vogliono comunicare, ma devo confessarti che temo di non esserci riuscita fino in fondo.
Quando dici per esempio: “Cosa ne dobbiamo fare però di qualcuno che non vuole la pace e la serenità? Di qualcuno a cui non interessa vivere una vita in sofferenza (qui forse volevi dire senza sofferenza?) o nella gioia più assoluta?”
Già da questo primo interrogativo mi trovo un po’ disorientata… Posso capire (e condividere) che concetti come “gioia assoluta” o “totale assenza di sofferenza” risultino talmente “alieni” dalla nostra esperienza umana da diventare “poco interessanti”, ma trovo davvero difficoltoso considerare la reale possibilità che un essere umano non desideri la “felicità”. Avrei bisogno di dialogare con te su questo punto, per capire fino in fondo cosa intendi, perché, dal mio punto di vista, questa è, in assoluto e seppure declinata in innumerevoli forme, l’aspirazione comune a tutti gli uomini.
Anche l’espressione che leggo poco oltre, non mi è del tutto chiara… dove dici:
“E se appunto ci fosse qualcuno che considerasse insoddisfacente la serenità e la pace interiore, poichè ciò che egli cerca non è esprimibile tramite una condizione, quasi quasi che addirittura la vita non sembrerebbe adatta al conseguimento della suddetta ricerca, una ricerca di un qualcosa di talmente alieno dall’ esistenza da trovare soddisfazione forse nell’ inesistenza?”
Queste righe mi porterebbero a pensare che, con tutti i limiti che possiedono le parole, in realtà le mie e le tue stiano “puntando” nella stessa direzione: in effetti, la pace e la serenità di cui siamo fatti, di cui tutto è fatto, non coincidono con gli stati transitori e limitati di benessere e di gioia esperibili durante il periodo compreso fra l’apparente nascita e l’apparente morte. Non mi stupisce quindi che tu intuisca come, all’interno della dimensione definita “vita”, la ricerca non possa, in realtà, approdare alla sua meta, quindi al suo dissolvimento. Se per “inesistenza” intendi indicare ciò che si trova “oltre” la vita e che ne è sorgente e sostanza, allora davvero le nostre parole puntano nella stessa direzione.
E’ vero Stefano, il riconoscimento di ciò che veramente siamo “spazza via ogni dubbio”, ma, in ogni caso, non “fermerà” l’attività della mente, che continuerà imperterrita la sua opera di convincimento (tu lo definisci “sabotaggio”) rispetto a ciò che è veramente importante raggiungere e realizzare, qualcosa che, dal suo punto di vista, si trova esclusivamente nelle esperienze che realizzano i nostri desideri e appagano i nostri bisogni.
Il riconoscimento della nostra vera natura non le impedirà di continuare a “parlare”, ma consentirà di vederla per ciò che è, una forma fra le forme.
Dell’ultimo paragrafo ho compreso poco Stefano, mi dispiace molto che tu ti senta “nei guai”, perché in realtà non lo sei e non lo siamo mai “veramente”… mi piacerebbe tu potessi aiutarmi a comprendere cosa intendi quando dici: mi ritrovo con il solito la cui intensità è non quantificabile (ed ho il forte sospetto che ciò accadrà)”… insomma, se vorrai dirmi di più, accoglierò con piacere le tue parole.
Ritengo comunque che parlare di “oltre Dio” sia intrinsecamente contraddittorio: se possiamo convenire sul designare con la parola “Dio”, l’Uno senza secondo, la totalità infinita ed eterna, la causa incausata… come potrebbe esistere qualcosa che ne è “oltre”? parlare del limite dell’illimitato non ha senso, perché staremmo parlando di qualcos’altro.
So che probabilmente la mia replica al tuo commento non ti offrirà i chiarimenti che (forse) stavi cercando. Ma ho avuto qualche difficoltà a comprendere le tue domande, ho perfino il dubbio che tu ne abbia avute.
Nel caso, ti invito caldamente a ripropormele, magari facendo un piccolo sforzo per formularle più sinteticamente.
Grazie mille per il tuo apprezzamento e per le tue parole di incoraggiamento.
Un caro saluto
3 settembre 2015 @ 1:44
Si, per quanto riguarda la prima parte, seppure a mio modo, intendo ciò che vi è oltre la vita, puntiamo quindi alla stessa cosa.
Come ho già scritto, il commento sarà ancora in moderazione, alcuni caratteri del messaggio non sono stati visualizzati correttamente (avrò inserito dei simboli che danno problemi con il sito).
Il discorso dell’ oltre Dio è solo una metafora per cercare di sollevarmi al di là di ogni concetto, anche quello dell’ Uno, è un modo meno serio e più narrativo di vedere la questione, un modo un pò colorito e personale per tentare di ingabbiare nelle parole, ciò che sento.
In effetti, più che domanda è un punto di vista.
Sulla questione della sofferenza, hai esattamente capito ciò che voglio dire. Pensiamoci un attimo: la vita è un soffio. Cosa desideriamo cambiare veramente di essa? Cosa vogliamo dall ‘ esistenza?
Non me ne faccio nulla di essere felice o triste, allo stesso modo con cui ad una persona che mi chiede “come vuoi vivere il prossimo secondo di vita?” risponderò che lo spazio è talmente breve che…sia quel che sia!
Non so se mi sto spiegando in modo goffo, nel qual caso me ne dolgo.
Il nocciolo della questione, di questa faccenda che chiamiamo vita, è il ” solo ” vivere felici? Te lo chiedo poichè cerco di capire se tu, essendo passata per questo percorso, abbia intuito o sospettato che la questione, il senso della vita, di questa vita, vada oltre il semplice desiderio di contentezza e gioia, talmente oltre che il vero motivo per cui siamo qui potrebbe apparire alieno alla logica a cui temporaneamente ci affidiamo.
Avrei piacere di approfondire il discorso con te, ho diversi punti di vista da esporti.
3 settembre 2015 @ 13:42
Caro Stefano,
premesso che non so bene cosa intendi dicendo “il commento sarà ancora in moderazione…”, visto che la mia competenza “tecnologica è davvero scarsa (spero che tu possa riuscire a pubblicare ciò che scrivi, ma non so come poterti aiutare, eventualmente chiederò a Paolo, l’amico che ha costruito il sito e se ne occupa dal punto di vista tecnico), vengo al contenuto di questa tua replica:
l’intento di “sollevarti al di là di ogni concetto”, rischia di diventare un ostacolo alla realizzazione invece che una via per la “liberazione”. L’io che speri riesca a “sollevarsi” oltre i concetti non potrà mai farlo, essendo un concetto fra i concetti, una forma illusoria, mentre il vero “io” che sei e che corrisponde all’unica Realtà, è già completamente libero e al di sopra dei concetti, non deve certo riuscire a sollevarsi.
Non ti spieghi in “modo goffo” Stefano, al contrario, le tue parole sono armoniose e poetiche, semplicemente non voglio far finta di comprendere quello che non afferro chiaramente e preferisco dichiararlo, per riuscire a dialogare meglio su questi temi tanto appassionanti per me, quanto complessi da comunicare.
Condivido totalmente ciò che affermi riguardo al “senso” della vita, che non è, e non può essere, l’affannosa ricerca di uno stato di “felicità” impossibile da raggiungere nella dimensione in cui viene cercata, e credo come te che il senso di questo “gioco” non sia afferrabile dalla mente e “sfugga alla logica a cui temporaneamente ci affidiamo”.
La questione della “felicità”, riguarda piuttosto “l’effetto” del riconoscimento della Realtà. Realizzare la nostra vera natura, non soltanto in modo “intellettuale”, comporta il contatto con le “qualità” di Ciò che siamo e che tutto è: eternità, bellezza, assenza di limiti, felicità… Naturalmente queste sono sempre soltanto parole che tentano di descrivere Ciò che è al di là di qualsiasi descrizione. Noi siamo sempre “quello”, che lo riconosciamo oppure no, ma quando il riconoscimento avviene, tutto cambia, rimanendo esattamente uguale.
Non esitare ad espormi i tuoi punti di vista ed, eventualmente, a porre domande che stimoleranno risposte.
Non chiedo di meglio
grazie e a presto
3 settembre 2015 @ 14:39
Nel primo messaggio alcune parole sono state rimosse all ‘ atto della pubblicazione, rendendo alcune frasi poco chiare.
In ogni caso il problema è risolto. Questioni tecniche a parte..
dagli articoli del blog, sembri fare riferimento a molti dei concetti espressi in “io sono quello” di nisargadatta maharaj, un testo davvero notevole, illuminante, forse decisivo per invertire la rotta della propria vita.
Non chiarisce però alcuni aspetti legati alla nostra entrata ed uscita da questo mondo, forse sarò uno dei pochi a dirlo, ma questo tipo di approccio, enormemente utile per la vita quotidiana, non tocca l’ essenziale.
Non mi sento di sfuggire alla possibile esplorazione di ciò che sono stato prima della vita e di ciò che sarò dopo, questione sicuramente intellegibile (si veda l’ enormità del materiale a disposizione), e non per forza appartenente all’ inconoscibile.
Al di là della realtà ultima di ciò che siamo, sicuramente inesprimibile, che idea ti sei fatta della morte, o meglio della tua condizione al di fuori della materia?
Se ne potrebbe parlare in maniera più tecnica, oppure secondo te è qualcosa di troppo distante da ciò che viviamo oggi?
3 settembre 2015 @ 19:37
Caro Stefano,
“Io sono quello” rappresenta in effetti una lettura fondamentale fra le tante compiute dopo l’incontro con la “Non-Dualità”, un testo su cui torno frequentemente, leggendolo e rileggendolo, per scoprire ad ogni rilettura nuove comprensioni e approfondimenti. Il mio “incontro” con l’esposizione di questa “Verità” è avvenuto attraverso le parole lette in un libro di un discepolo di Nisargadatta, Ramesh Balsekar ed è stato “amore a prima vista”, che tuttora mi coinvolge totalmente e completamente. Da quel primo incontro non ho mai smesso di leggere le parole scritte da persone che hanno riconosciuto il proprio vero Sé; te ne nomino alcune in ordine sparso, partendo da colui che ha riattualizzato la “via diretta” alla comprensione della realtà, Ramana Maharshi, e poi Tony Parsons, Rupert Spira, Leo Hartong, Francis Lucille, Jeff Foster, Joan Tollifson, Poonja, Toni Packer, Alan Watts, Mauro Bergonzi, Adyashanti, Gangaji, Jeff Foster, e altri… non mi basta mai! Molto importanti sono stati anche gli incontri “personali” con Rupert Spira, che una volta all’anno viene in Italia. Appena possibile, seguo poi via web gli incontri del suo insegnante, Francis Lucille.
Devo dirti che mi stupisce un po’ sentirti definire questo approccio “utile per la vita quotidiana”, ma ritenere che “non tocchi l’essenziale”… Ho sempre ascoltato, casomai, critiche di segno opposto, che lamentavano come anche un’eventuale comprensione della “Verità” non potesse rendere la vita quotidiana aderente ai propri desideri ed ai propri bisogni.
Mi farebbe piacere capire meglio come questo approccio ti è stato “utile” nel vivere la tua vita quotidiana, perché penso che effettivamente questo accada invariabilmente mano a mano che si riconosce la falsa identificazione con ciò che pensiamo di essere.
Arrivando alla tua domanda finale… nel momento in cui accade il riconoscimento di essere Consapevolezza e che tutto ciò che “apparentemente” esiste in modo distinto e separato, in Realtà è solo e soltanto Consapevolezza, cadono le distinzioni fra “prima e dopo”, fra “dentro e fuori”, fra “materia e non-materia”, distinzioni che appartengono esclusivamente al modo di conoscere della mente.
Quando si riconosce che la “materia” non esiste in quanto entità distinta da noi, ma che tutto ciò che esiste (quindi anche noi, la materia, il mondo) è una forma apparente della Consapevolezza, da Essa conosciuta e di cui Essa è sostanza, allora ci si renderà conto di come non sia possibile rintracciare un “limite” nella Consapevolezza, trovarne un inizio e vederne una fine.
La mente conosce solo “oggetti”, ed ogni oggetto è, apparentemente, limitato e separato, ha un inizio ed una fine. La mente non può conoscere Ciò che non ha caratteristiche oggettuali, non ce la fa, è fuori dalla sua portata, anche se per lei non è facile rendersene conto ed accettarlo. Ciò che siamo non può essere riconosciuto dalla mente, non è attraverso la sua modalità di conoscenza che avverrà la “realizzazione della nostra vera natura”. Tuttavia noi siamo Consapevolezza infinita ed eterna, e questo riconoscimento “non-mentale” prima o poi avverrà.
4 settembre 2015 @ 15:09
Ma vedi, le domande che l’ interlocutore pone al “maestro”, sono in fin dei conti le domande che chiunque dotato di senso critico avrebbe posto. Quindi già in partenza c’ è questa vicinanza al lettore, quasi come fosse lui stesso a porle.
Se per tutto il testo viene ripetuto che siamo lo schermo in cui tutto appare, che persino i pensieri poichè percepiti, possono essere considerati alla stregua di meri oggetti che attraversano la mente e si dileguano in poco tempo; se viviamo in un sogno, se siamo i creatori del sogno, se siamo il sogno stesso che si dispiega nell’ assoluto, e la cosa viene realmente valutata nelle sue incredibili, abissali implicazioni, allora in quell’ istante puoi ben capire come qualsiasi problema, tragedia o finanche battibecco che si possa avere, si scioglie come neve al sole (a patto di aver assorbito realmente il contenuto, a patto di averlo vissuto giorno per giorno), completamente bruciato dalla consapevolezza di esserne i creatori e gli eventuali dissolutori.
Questo testo è stato un pò una sorta di “fissaggio” di alcuni concetti sparsi in tutta la tradizione di una conoscenza che giunge all’ umanità in svariate forme, da tempi remoti. Se in definitiva, non è utile scoprire la non esistenza dell’ io e delle sue commedie, allora cosa lo è?
Mi sono sorpreso diverse volte a sorridere di me stesso, di come una costruzione di ipotesi e di pensieri che vertevano verso una specifica evidenza, che mi convincevano dell’ esattezza di una situazione, si rivelassero una costruzione farlocca ed illusoria. Il pensiero è potente, terribile, ipnotico ed insistente, quasi un’ entità a parte, spaventosamente furba, ma degna di appartenere a questo gioco geniale.
Ciò detto, ad un certo punto, ipotizziamo, una persona si sveglia in una foresta: intontita e spaventata si appresta alla ricerca del come e del perchè essa si trova in quelle condizioni, senza memoria della sua entrata e senza alcuna ipotesi sull’ eventuale uscita. Dopo un pò di tempo, inizia a trovare dei viandanti, anch’ essi spaesati e confusi, ognuno con le loro ipotesi. Qualcuno sembra addirittura non capire l’ eccezionalità e la particolarità della sua condizione, qualcun altro ride in maniera leonardesca sotto un albero, in attesa non si sa di cosa.
Passati gli anni,alla ricerca di indizi più o meno illuminanti sulla sua condizione, poniamo, egli abbia capito la struttura della foresta, le sue trappole, i suoi particolari ed in fine la natura onirica della stessa.
E’ tutto magnifico, tuttavia manca qualcosa, ovvero ciò che dalla mia prospettiva è l’ essenziale, il motivo della sua presenza in quel posto. E’ venuto ad acquisire qualcosa? dopo l’ uscita agirà, penserà come ha fatto fino a quel punto? si dissolverà?
E’ stato lui stesso, in un supremo atto di genialità a costruire quel mondo per poi immergersi perdendo completamente la nozione della sua natura, al fine di acquisire o ricordare qualcosa che in quel momento non può afferrare?
Cosa cerca di ottenere?
per quanto si possa riconoscere che non vi sono limiti,per quanto si possa realizzare di essere consapevolezza eterna, non si può negare che dalla momentanea prospettiva che abbiamo vi sia un prima ed un dopo la morte. E’ la questione non può e non deve sfumare e perdersi nella teoretica di concetti che per quanto illuminanti, non rispondono ai quesiti un tantino più tecnici (lo so è un termine brutale, tuttavia…).
Possiamo concludere che esse questioni siano solo aberrazioni della mente, oppure iniziare con pazienza ad affrontare e districare la matassa, potremmo scoprire una logica meravigliosa, ma pur sempre logica.
La bicicletta potrebbe non essere distinta e separata da me stesso, potrebbe pur essere un frammento onirico, una distorsione che la mente fa rispetto al “tutto”, tuttavia essa è stata costruita con una logica, i suoi elementi concorrono a formare qualcosa di coerente, che si presta ad una funzione, quand’ anche si voglia ammettere che sia un esperimento della coscienza. Dunque ciò che siamo è inconoscibile, tuttavia non lo è ciò che vogliamo ottenere. Dall’ altra parte del gioco potremmo scoprirci esseri molto diversi dai quali siamo adesso, e al di là dei possibili riconoscimenti che possiamo fare o non fare sulla natura di noi stessi, ne sono sicuro, stiamo combinando qualcosa di grosso, qualcosa che non trova posto nelle più sfrenate fantasie che abbiamo.
Pur sempre un gioco, ma intellegibile.
4 settembre 2015 @ 20:33
Caro Stefano,
vado al punto che giudico centrale in questa tua ultima replica, dove dici:
“E’ tutto magnifico, tuttavia manca qualcosa, ovvero ciò che dalla mia prospettiva è l’ essenziale, il motivo della sua presenza in quel posto. E’ venuto ad acquisire qualcosa? dopo l’ uscita agirà, penserà come ha fatto fino a quel punto? si dissolverà?
E’ stato lui stesso, in un supremo atto di genialità a costruire quel mondo per poi immergersi perdendo completamente la nozione della sua natura, al fine di acquisire o ricordare qualcosa che in quel momento non può afferrare?
Cosa cerca di ottenere?”
Ritengo questo un punto importante perché rappresenta un “chiaro” esempio di come la mente rifiuti di non riuscire ad ottenere le risposte che cerca. Dal suo punto di vista, se le risposte non soddisfano la sua logica, o sono “sbagliate” o sono almeno da “approfondire”. Ciò che per la mente non è “afferrabile”, è falso o troppo complesso. Prima di arrendersi alla possibilità che esista una “comprensione” che avviene con modalità diverse da quelle da lei usate e che riguarda una dimensione a lei “inaccessibile”, la mente formulerà tante domande e lotterà per ottenere le risposte. Solo se tali risposte nascono dalla “Verità”, gradualmente (a volte improvvisamente) le domande diminuiranno, fino a quando la mente si “dissolverà” nella sua Sorgente.
Ogni “perché” deriva dal bisogno della mente di comprendere secondo la “sua logica, che non è la “logica” della Consapevolezza, di Ciò che siamo e che tutto è.
La prospettiva di cui parli del “prima e dopo la morte”, appartiene al sentirsi identificati con un’entità corpo/mente che nasce e muore, e indica una comprensione che, se è avvenuta, è per il momento limitata al livello intellettuale.
Il vissuto e totale riconoscimento della falsità di tale identificazione, non ha nulla a che fare con sostituire “concetti” e “credenze” compresi come falsi, con “concetti” e “credenze” più veri e corrispondenti alla Realtà. Questo potrebbe essere un passaggio che, solo quando completato, vedrà la mente (e le sue domande) dissolversi nella Sorgente (non significa che sparirà, continuerà ad esistere, continuerà a svolgere il suo “lavoro”, ma sarà riconosciuta per ciò che è, e avrà termine la nostra identificazione con lei)
Non c’è nulla da ottenere, perché è già tutto disponibile e presente. La mente non lo sa e non riesce a comprenderlo. E’ inevitabile. Non può farlo. Ma quando l’invito viene colto, tutto procederà fino alla comprensione finale della vera Natura della Realtà e in quel momento ogni domanda troverà la sua vera risposta.
7 settembre 2015 @ 10:22
Caro Stefano,
non avrei voluto in alcun modo sfuggire alla “sostanza” della tua domanda precedente e credo che il modo migliore per completare la mia risposta, sia riportarti una poesia di Rumi. Dal mio punto di vista nessuna sintesi potrebbe risultare più efficace:
This place is a dream
only a sleeper considers it real
then death comes like dawn
and you wake up laughing
at what you thought
was your grief.
Humankind is being led
along an evolving course,
through this migration
of intelligences
and though we seem
to be sleeping.
There is an inner wakefulness,
that directs the dream
and that will eventually
startle us back
to the truth of
who we are.
Rumi
Traduzione (mia)
Questo posto è un sogno
che solo il dormiente considera reale
poi la morte arriva come l’alba
e ti svegli ridendo
per ciò che pensavi
fosse il tuo dolore.
Il genere umano è guidato
lungo un percorso evolutivo
attraverso questa espansione
di intelligenze
anche se sembriamo
addormentati.
C’è uno stato di veglia interiore
che dirige il sogno
e che alla fine
ci farà rimbalzare indietro
verso la verità
di chi siamo.
Rumi
7 settembre 2015 @ 18:44
Bellissima la poesia. Le parole sono davvero potenti, le sensazioni evocate sono inesprimibili.
Ti ringrazio, davvero.
Questa poesia è una degna sintesi, per cui l’aggiunta di una sola parola rovinerebbe tutto.
9 settembre 2015 @ 20:23
Ero sicura avresti apprezzato e ne sono felice
Sono d’accordo con te, inutile aggiungere parole.
Ti saluto in questo silenzio pieno di tutto
27 settembre 2015 @ 9:32
ciao Moksha
ti riscrivo con una domanda che continua a girarmi in testa e a cui non so rispondere. Ricorderai la mia passione per l’astrologia che essa stessa, mostrandomi l’assenza di separazione tra il presunto “me” e tutte le cose, mi ha portato a realizzare l’illusione della separatezza. Però la mia mente continua a porsi domande. Ho letto, anche da parte di chi sta condividendo attivamente questo messaggio della Non dualità, che gli eventi della nostra vita riflettono la nostra coscienza….appunto perché non ne sono separati, è un tutt’uno come il sogno è espressione della coscienza del sognatore.
Io non posso che condividere questo perché è proprio ciò che vedo attraverso l’astrologia nei temi natali. Gli eventi non sono casuali, non sono ALTRO da noi, ma parlano di noi, dei nostri contenuti interiori.
Ma ecco definirsi ai miei occhi una contraddizione che non riesco ad integrare. Se gli eventi parlano di “noi” ma non c’è alcun IO separato dalla totalità di CHI sono quei contenuti che si manifestano ? Certo la risposta sarà, di NESSUNO. Ma continuo a scorgere una contraddizione tra il VUOTO che è l’essenza della coscienza e il “modello interiore” che di fatto è un CONTENUTO che io vedo riflesso nei simboli e che trova manifestazione negli eventi (di fatto, è lo stesso modello che si ripete continuamente, pur in eventi apparentemente diversi).
Mi aiuti a chiarire questo caos
??
grazie
28 settembre 2015 @ 21:05
Cara Sophia,
innanzitutto ci tengo a rassicurarti sulla positività del “sorgere” delle domande: è normale che accada, anzi è molto positivo perché, anche se le domande sorgono nella mente, alcune di esse, unite alle loro risposte, riportano la mente verso la propria sorgente, da cui, è importante sottolinearlo, non si è mai completamente staccata, ma da cui, fino a tale “riunione”, si sente sostanzialmente separata.
Mi sembra che la difficoltà che incontri nel tuo ragionamento, possa essere imputata all’ancora presente, seppure più nascosta, credenza in un sé personale e separato. Quando dici, ad esempio, “Ho letto, anche da parte di chi sta condividendo attivamente questo messaggio della Non dualità, che gli eventi della nostra vita riflettono la nostra coscienza….appunto perché non ne sono separati… a cosa, o meglio a chi, ti riferisci dicendo “nostra vita” o “nostra coscienza”? E poco più avanti: “Gli eventi non sono casuali, non sono ALTRO da noi, ma parlano di noi, dei nostri contenuti interiori.“, appare di nuovo questo “noi”, come se, senza forse averne piena consapevolezza, tu dessi per scontata l’esistenza di un “noi” personale, che ha contenuti “interiori”.
Potei sbagliarmi (ed eventualmente mi correggerai), ma sembra che tu ritenga necessaria e ineliminabile l’associazione fra ciò che definisci “contenuti” (immagino tu ti riferisca ad emozioni, sentimenti, pensieri, etc) e un “qualcuno” personale a cui tali contenuti appartengono.
Non è semplice mettere in discussione e rivalutare gli stessi presupposti su cui sono costruite la cultura e l’educazione ricevute, presupposti che, oltretutto, sembrano così evidentemente sostenuti e rinforzati dalla diretta esperienza.
Ma il lavoro di “discernimento” a cui ci invita il messaggio della Non-Dualità (non tutti gli insegnanti, o presunti tali, e io certo non mi definirei mai in questo modo, propongono lo stesso approccio “diretto” alla comprensione della vera natura della Realtà), ci chiede di osservare attentamente i presupposti su cui basiamo la nostra “costruzione” e visione della Realtà, senza darli per scontati, ma sempre sottoponendoli all’attenta verifica della nostra reale esperienza (non quella che crediamo di avere, ma quella che veramente abbiamo e che spesso viene distorta da tali presupposti). Dare per scontato che se un pensiero sorge, un’emozione si manifesta, debba essere presente una “persona” in cui tale pensiero e/o emozione si presentano, per essere poi definiti “contenuti interiori”, significa partire da un presupposto che non corrisponde alla realtà dell’esperienza.
Non c’è un CHI, non c’è mai stato né mai ci sarà, anche se questa affermazione sembra contraddire uno dei dati che ci appaiono più certi nella nostra esperienza.
Appaiono pensieri, emozioni, sensazioni, suoni, odori, sapori, sensazioni tattili, immagini, ma non appaiono a o in “qualcuno”, sono forme della Consapevolezza che soltanto la mente riunisce in un “agglomerato” che definisce “persona” e che ritiene esistere come sé separato.
Non so quanto queste parole rappresentino una risposta esauriente alla tua domanda Sophia. Spero ti offrano un po’ di chiarezza in più, ma sarò contenta di riprovarci se non avessero colto il punto essenziale del tuo quesito.
Grazie per il tuo prezioso contributo.
Un abbraccio
M.
29 settembre 2015 @ 17:14
Grazie Moksha,
tu dici…
“Non c’è un CHI, non c’è mai stato né mai ci sarà, anche se questa affermazione sembra contraddire uno dei dati che ci appaiono più certi nella nostra esperienza.
Appaiono pensieri, emozioni, sensazioni, suoni, odori, sapori, sensazioni tattili, immagini, ma non appaiono a o in “qualcuno””
Ok, sono d’accordo. Sono consapevole dell’illusione di un IO separato dalla totalità.
Però, quando dici “soltanto la mente riunisce in un “agglomerato” che ….”
Ecco, è questo che a me non torna, nel senso perchè negare l’ordine ? non parlo di scopo ma di semplice ordine. Quell’ordine che poi si coglie ovunque guardando la natura, nel ciclo delle stagioni, nell’alternanza del giorno e della notte, nelle fasi lunari…ecc..
C’è un ORDINE anche in quell’oggetto della consapevolezza in cui erroneamente ci identifichiamo, quell’ordine che probabilmente tu definisci “agglomerato” ma credo che condividerai che è espressione di un modello piuttosto costante di manifestazione.
Certo è che dietro quell’ordine….non c’è nessuno.
Ecco, questo è il punto dove ero confusa, ma ora, parlandone, mi sembra di avere maggiore chiarezza.
Tu che ne dici ?
29 settembre 2015 @ 19:23
Forse il termine “agglomerato” ti è sembrato indicare “disordine”, ma per me ha semplicemente il significato di “insieme”. La Consapevolezza (Essere, Energia, Uno, Essenza, Sé, etc…. qualunque termine si scelga per indicare l’Unica Realtà), di cui tutto è espressione, può manifestarsi in ogni modo, quindi anche con l’ordine meraviglioso che hai descritto.
La questione che volevo sottolineare è che, nonostante le apparenze e nonostante l’impossibilità di usare un linguaggio coerente con la vera natura della Realtà (quindi dovendo per forza usare i pronomi “personali” come “io” e “noi” per comunicare), i pensieri, le emozioni, le sensazioni, le percezioni sensoriali che si manifestano, non hanno la “compattezza” che la mente gli attribuisce, identificando una “persona” dove in realtà ci sono solo “forme” che appaiono e scompaiono nell’infinito campo della Consapevolezza.