La paura della morte
Abbiamo tanta paura della morte perché, con essa, siamo convinti di scomparire.
Cresciamo identificandoci progressivamente con il corpo e con la mente, arrivando a credere che essi siano la nostra sola realtà.
La convinzione (quasi mai veramente indagata) di essere una persona, un’entità corpo/mente, nata in un certo giorno, in un certo luogo, con una certa storia e con certe caratteristiche, conduce, inevitabilmente, alla certezza della nostra “fine”, del momento in cui smetteremo di esistere e tutto sarà perduto per sempre.
Questa convinzione rappresenta, a mio parere, il nucleo centrale e originario di tutta la sofferenza psicologica umana.
Come potrebbe essere altrimenti?
Perdere l’unica “realtà” che crediamo esistente, e, con essa, la sola possibilità di sperimentare la felicità che tanto desideriamo, non può che spaventarci, deprimerci, angosciarci.
Viviamo la nostra vita cercando, aspettando, desiderando uno stato di benessere duraturo, senza mai realmente accontentarci delle esperienze piacevoli, dei momenti di gioia, degli stati transitori di appagamento.
Senza neppure rendercene conto, inseguiamo una condizione di felicità che possa non finire mai e siamo convinti di avere soltanto questa occasione per trovare quello che stiamo cercando, per appagare il desiderio che arde in noi.
La persuasione di avere un tempo “limitato” per realizzare il nostro sogno , ci fa vivere in uno stato di ansia, di insicurezza, di senso di inadeguatezza, che a volte si trasforma in panico o angoscia.
Ci sentiamo incapaci di ottenere ciò che desideriamo, convinti che il fallimento dipenda dalle nostre manchevolezze, dal non essere abbastanza “qualcosa”: abbastanza intelligenti, abbastanza forti, abbastanza sicuri di sé, abbastanza sani, abbastanza determinati, abbastanza belli, abbastanza ricchi, abbastanza spirituali, abbastanza…
“Forse se avessi più tempo”, ci diciamo…
E’ incredibile rendersi conto di quanto raramente accada che qualcuno ci guidi a riconoscere la “falsità” di una simile prospettiva, a riflettere sull’inconsistenza dei presupposti su cui fondiamo le nostre certezze, a realizzare l’impossibilità di trovare qualcosa di “eterno” (perché questa è la caratteristica fondamentale della condizione di benessere che stiamo cercando) nella dimensione limitata e “finita” che ha inizio con la nascita e termina con la morte del corpo/mente e che identifichiamo come l’unica realtà esistente.
Sono sempre più convinta che la paura della morte, che tanto condiziona le nostre esistenze e che tanta sofferenza procura alle nostre vite, riguardi fondamentalmente la persuasione di perdere l’unica possibilità di raggiungere la completa e definitiva felicità che ognuno di noi, ne sia o meno consapevole, cerca.
Quanto sarebbe importante rendersi conto che tale convincimento appartiene esclusivamente alla mente limitata, mentre la Realtà di Ciò che siamo non possiede confini, né temporali, né spaziali.
La mente ci racconta che quando lei cesserà di esistere tutto sparirà, “noi” spariremo, tutto sarà finito per sempre.
Ed è in qualche modo paradossale giungere a realizzare che sarà proprio la “morte” di quel “noi”, il dissolversi dell’identificazione con la persona che crediamo di essere, a consentire la definitiva e irreversibile “liberazione” dalle false convinzioni su cui basiamo la nostra vita, a condurci al totale (non soltanto intellettuale) riconoscimento di Ciò che realmente siamo e, grazie ad esso, all’emergere della nostra Essenza di eterna Felicità .
Tale “morte” non deve necessariamente coincidere con la fine “fisica” del corpo/mente, seppure, va detto, per la maggior parte degli esseri umani il definitivo “risveglio” avverrà, effettivamente, solo con quell’avvenimento.
Sperimentare la “morte” del sé personale durante la vita, senza che ad essa corrisponda la scomparsa definitiva del corpo/mente, è un altro modo per tentare di descrivere l’esperienza definita “illuminazione”, anche se è importante ricordare quanto sia inappropriato definire “esperienza” il riconoscimento della vera natura della Realtà, che, presentandosi piuttosto come un evento collocato fuori dal tempo e dallo spazio, non possiede le caratteristiche “oggettive” che descrivono, appunto, ogni esperienza.
Il riconoscimento della nostra vera natura, della vera natura di tutto ciò che esiste, porta con sé la comprensione di essere proprio quella eterna Felicità che stiamo cercando, permettendo di realizzare l’illusorietà e l’inconsistenza di una ricerca che si ostina a cercare l’infinito dove non può essere trovato, nella dimensione limitata e finita che chiamiamo vita.
Cerchiamo l’eternità perché siamo Eternità, anche quando ci identifichiamo con qualcosa che nasce e muore.
Avvertiamo il “richiamo” verso casa, ma invece di volgerci “all’interno”, per scoprire “cosa” siamo veramente, cerchiamo l’eternità dove non potremo mai trovarla.
Il riconoscimento di essere Consapevolezza eterna ed infinita, può aiutarci ad accogliere e ad accettare il sentimento di paura che facilmente sorge nel momento in cui la mente contempla la sua stessa fine.
Anche quel sentimento di paura, quando appare, è una forma transitoria della nostra eterna Essenza, dell’Essenza di tutto ciò che è, e, come tale, va visto ed accolto, non combattuto o respinto.
Ciò che siamo realmente non è mai nato né mai morirà.
Scomparirà soltanto una “forma” che la Coscienza ha assunto temporaneamente, un’onda che, dopo essersi formata, tornerà a dissolversi nell’acqua dell’oceano, riunendosi alla sua unica, vera sostanza, non essendo mai stata altro che quella.
Monica
marcella gostinelli
24 novembre 2015 @ 13:38
avere paura della morte impedisce di vivere quello che c’è da vivere.Stai li tutto il tempo a cercare un modo per morire bene e quindi per vivere fino in fondo. Per morire bene bisogna vivere bene, per vivere bene bisogna saper morire bene. Non si esce da questo cerchio sempre più stretto di implicazioni.Questa riflessione profonda e generosa di Monica aiuta a vivere bene e quindi a morire bene. Per morire bene io sento che sia necessario imparare a morire ogni giorno con pienezza di vita.La vita è piena quando accetti tutto quello che c’è, quando senti di essere tu quella vita. Lo stesso sarà con la morte. Sentire di essere tu quella vita nella morte. Mi rendo conto di essere contorta ma sento cosi.Cara Monica questa tua riflessione sulla morte mi ha permesso di sentirmi parte di un universo, di non essere sola divisa dal tutto. Unaaffinità ridà fiducia nel senso universale dell’essere. Quale conforto, quale leggerezza! Grazie
Moksha
24 novembre 2015 @ 19:06
Grazie a te cara Marcella,
apprezzo molto il tuo commento e lo condivido pienamente.
Per quanto mi riguarda, con “morire bene” intendo arrivare alla morte nella consapevolezza di Ciò che sono, di Ciò che è la vita, di Ciò che tutto è. Per me questo è il significato della tua bellissima affermazione “imparare a morire ogni giorno con pienezza di vita”. La morte appartiene alla vita. Quando nasce la vita, con lei nasce la morte. Non esiste l’una senza l’altra. Ma non riflettiamo mai abbastanza, nessuno ci insegna a farlo, su cosa questo significhi veramente, su cosa sia che nasce e muore, se Ciò che siamo, la nostra Essenza, in cui tutto appare, che tutto conosce e di cui tutto è fatto, nasca davvero o, piuttosto, non abbia alcun limite nel tempo e nello spazio, sia, cioè eterna e infinita.
Riflettere su tutto questo, osservare ciò che accade liberandoci da falsi presupposti che governano le nostre vite, i nostri pensieri, le nostre emozioni, per riconoscere la Verità dell’Essere, per me equivale al tuo “imparare a morire ogni giorno” ed è l’attività più preziosa a cui poterci dedicare.
Sono felice che le mie parole abbiano risvegliato in te vissuti di appartenenza, fiducia, leggerezza. Non potrei chiedere di più.
Grazie di cuore
Francesco
3 dicembre 2019 @ 14:14
Leggo il tuo Post….ed il pensiero inizia a farsi strada nel buio di questa cameretta…
Stretta e lunga nella sua rettangolare realtà..
Pareti lisce e bianche con un finestrone sul nulla di un Paese che non esiste…distrutto, violato, devastato…
Mi rivedo bambino uscire dalla scuola e non trovarti…
Al tuo posto la nonna che mi parla…ed io capisco..
Un dolore mi accompagna da allora…sordo…presente…
Una mano che mi stringe la gola…quando prendo quel bus…
Verso qulla clinica…in una Napoli grigia come il mio cuore..
Ed ogni pomeriggio aspettavo sulla panchina il bus che mi portava da te..
Alla tua stanza…ed in silenzio facevo i compiti guardandoti…
Ero diventato la mascotte del reparto femminile di oncologia della clinica
In due anni le ho viste morire una ad una…
Donne che hanno lasciato dei ricordi indelebili in me…
Tu sempre sorridente nonostante la chemioterapia ti aveva fatto cadere tutti i capelli..
Ed io che fingevo….cercando di farti vivere serena gli ultimi momenti di vita..
Il Primario fu freddamente educato…descrivendo la situazione…
alla presenza di mio padre mi disse che avevi pochi mesi di vita..
L’impatto con la morte e la vita ti fa crescere all’istante…
Annullando la tua spensieratezza di bambino..
Il 31 dicembre….fu l’ultimo tuo capodanno…
Lo trascorsi con te…mentre dalla finestra vedevo una Napoli illuminata..
Tanti fuochi artificiali…tanto rumore assordante..
Tutto assume un altro significato quando sei triste…
Anche guardare quella festa ti sembra assurdo…come la vita…
Pochi giorni dopo sei partita…lasciandomi solo…con i miei compiti..
Rientrando in classe tutti mi abbracciarono anche i miei professori..
Ma ero cambiato…nel cuore e nell’anima…
I compagni di classe mi sembravano proprio ragazzini…
Senza valori…senza umanità…senza amore..
Scelsi di partire, arruolarmi,…andare via…il più lontano possibile..
Per dare un senso alla mia vita…scappando anche da me stesso..
Indossando l’uniforme compresi di scegliere l’impegno…
Le missioni furono il banco di prova dove misurai me stesso…
Il mio cuore e la mia anima…
E la morte non mi fà paura…NO
Non mi fa paura…