L’accettazione non può essere scelta
L’accettazione non può essere scelta con un atto di volontà, non possiamo “decidere” di accettare qualcosa o qualcuno che spontaneamente non stiamo accettando.
L’accettazione non deriva da una nostra determinazione, può soltanto accadere.
Quante volte vi sarà capitato di sentirvi rivolgere l’invito ad “accettare” una situazione, una persona, un fatto, oppure di esortare voi stessi a farlo, in base alla convinzione che, attraverso quell’atto di accettazione, le cose si sarebbero risolte, la tensione sarebbe diminuita, il malessere attenuato.
Se da un lato è senz’altro vero che nell’accettazione di ciò che accade risiede la chiave che apre la porta alla pace e alla serenità, dall’altro risulta importante realizzare che non è possibile accettare attraverso un atto di volontà.
Innanzitutto è necessario rendersi conto che la ragione fondamentale di ogni stato di sofferenza psicologica risiede nell’opposizione a ciò che accade, nella forma in cui accade.
Ci “opponiamo” a ciò che accade quando rifiutiamo ciò che si sta presentando nella nostra vita, fuori o dentro di noi (un evento cosiddetto “esterno”, oppure “interno”, come un pensiero o un’emozione), quando non ci piace o lo vorremmo diverso, quando desideriamo altro o ci sentiamo “mancanti” di qualcosa.
Ogni volta che ci troviamo in uno stato di sofferenza emotiva, sia essa tristezza, irritazione, rabbia, frustrazione, amarezza, disperazione etc., sarebbe importante riuscire a “vedere” a cosa ci stiamo opponendo, cosa vorremmo accadesse in modo diverso, cosa stiamo desiderando perché non lo ritroviamo nella situazione che stiamo vivendo.
Questa osservazione ci permetterebbe di riconoscere la vera origine di ogni sofferenza psicologica, realizzando che, nonostante si possa essere convinti del contrario, non si soffre perché qualcosa accade in un modo anziché in un altro, ma perché non si accetta ciò che accade nella forma in cui accade.
Al centro di ogni sofferenza psicologica si trova una condizione di “non-accettazione” della realtà per come si sta manifestando.
Una volta raggiunto questo importante riconoscimento, potrebbe apparire semplice imboccare la strada per la serenità: in fondo, potremmo dirci, se sono arrivato a riconoscere che lo stato di sofferenza in cui mi trovo deriva dalla non accettazione di ciò che sta accadendo, per stare bene non dovrò fare altro che accettare le situazioni per come si presentano, anche se diverse da come le desidero.
Purtroppo però non è così semplice, perché non esiste la possibilità di accettare volontariamente qualcosa o qualcuno che non stiamo spontaneamente accettando.
Anche questa è un’affermazione che ognuno di noi è chiamato a verificare. E sarà semplice farlo.
Ci accorgeremo di non poter “accettare” attraverso uno sforzo di volontà ciò che spontaneamente non stiamo accettando (la vera accettazione non può e non deve essere confusa con uno stato di rassegnazione), ma potremo altresì renderci conto di ciò che stiamo provando, possibilmente giungendo ad accettare la condizione di “non-accettazione” in cui ci troviamo (e non si tratta di un “gioco di parole”), riconoscendola come la vera origine della nostra sofferenza.
La buona notizia è che, attraverso la continua osservazione del “meccanismo” alla base della sofferenza psicologica, quindi del riconoscimento che al centro di ogni dolore emotivo si trova uno stato di opposizione a ciò che si sta manifestando, può crescere gradualmente e spontaneamente un atteggiamento di maggiore accoglienza, apertura, accettazione verso gli accadimenti della vita per come si presentano e, con esso, uno stato di sempre maggiore e stabile serenità.
5 aprile 2016 @ 17:28
ciao Monica
bello e incredibilmente tempestivo il post. Avevo appena letto un intervento su Facebook sulla “necessità” dell’accettazione incondizionata che mi aveva lasciata perplessa. Certo che l’accettazione è il riconoscimento dell’unità che siamo, ma a volte questa accettazione semplicemente non c’è ma la non accettazione è solo un “pensiero/emozione” che non intacca la totalità che Siamo.
p.s. sono venuta a sbirciare un sacco di volte per vedere se avevi pubblicato nuovi post e finalmente l’ho travato
Sophia
6 aprile 2016 @ 10:48
Ciao Sophia!
), ho provato a mettere in evidenza la vera origine della sofferenza emotiva umana, non come strategia per evitarla (credo si sia capito che non ritengo possibile farlo attraverso un atto volontario), ma come invito a rintracciarne il meccanismo che ne è alla base. Tale riconoscimento avrà un effetto sulla possibilità di accogliere maggiormente ciò che accade per come accade e, in questo modo, la sofferenza psicologica ed emotiva ne risulterà attenuata, mostrando chiaramente il suo aspetto di transitorietà.
grazie di cuore per il tuo commento e per la tua “fedeltà” al mio blog! 😉
Belli questi momenti di “sincronicità”! Ci aiutano molto a realizzare “l’Unicità” di Ciò che siamo.
E’ proprio come dici, la “non-accettazione” è una forma come un’altra, che appare e si dissolve come tutte le forme finite nella Totalità infinita che ne è reale sostanza.
In questo post dal taglio “psicologico” (un po’ di deformazione professionale è inevitabile
Anch’io seguo sempre con piacere il tuo blog e ti ringrazio tanto per gli articoli di “Astrologia non duale” (non so se la definizione ti piace) che scrivi!
Un abbraccio
24 agosto 2017 @ 9:48
Buongiorno.
Complimenti per l’articolo; passo in questo periodo la riacutizzazione di uno stato di sofferenza per vicende familiari personali accadute quando ero ragazzo (non si tratta però di una perdita), e questo articolo mi ha fornito una chiave molto importante.
Vorrei chiederle chiarimenti qu questo “meccanismo”, dove lei in chiusura scrive: “attraverso la continua osservazione del “meccanismo” alla base della sofferenza psicologica, quindi del riconoscimento che al centro di ogni dolore emotivo si trova uno stato di opposizione a ciò che si sta manifestando, può crescere gradualmente e spontaneamente un atteggiamento di maggiore accoglienza, apertura, accettazione…”
Potrebbe gentilmente fornire qualche esempio pratico, così da capire io meglio in cosa si sostanzia questa “osservazione”, come si può attuare?
Grazie molte.
Cordiali saluti.
Alex
24 agosto 2017 @ 19:43
Caro Alex,
grazie per l’apprezzamento e per il suo contributo.
Mi chiede qualche esempio “pratico” che le permetta di comprendere meglio cosa intendo con “osservazione”… Attingendo alle esperienze quotidiane potrei fornirgliene infiniti, ma non mi discosterei dalle affermazioni ripetute in tutto l’articolo. Il mio invito è quello di provare ad analizzare con lucidità (in altre parole a “osservare”), ben inteso appena risulta possibile farlo, gli stati di sofferenza emotiva, di qualsiasi intensità, ci troviamo a sperimentare, per arrivare a renderci conto di come, ogni volta che si vive una simile condizione, sia possibile rintracciarne l’origine in una “opposizione” o “non-accettazione” di ciò che si sta verificando.
L’osservazione senza giudizio di tale “opposizione”, può gradualmente aumentare la nostra capacità di accettazione sia nei confronti di eventi o situazioni che, in modo evidente, possono difficilmente o addirittura impossibilmente cambiare, sia nei riguardi di quelle circostanze sulle quali un nostro tentativo di azione per il cambiamento è possibile.
Possiamo certamente provare a cambiare ciò che risulta per noi inaccettabile, ma, anche in questo caso, sono convinta sia importante rimanere consapevoli di non avere alcuna possibilità di “controllare” la vita.
Forti di tale consapevolezza, continueremo a “osservare” come siano il rifiuto e l’opposizione a ciò che si manifesta nella nostra esperienza (perché diverso da come lo vorremmo) a generare i vissuti di sofferenza emotiva e non ciò che si manifesta in se stesso. Non stancandoci di farlo (non stancandoci di osservare), arriveremo, senza quasi accorgercene, ad accogliere maggiormente la vita per come si presenta, a sentirci uniti al suo accadere e, in questo modo, a vivere più serenamente.
Temo di non aver risposto alla sua domanda per come forse si sarebbe aspettato, ma sono disponibile a confrontarmi con lei su qualche esempio “pratico” tratto dalla sua esperienza quotidiana.
Nel caso volesse continuare il nostro dialogo, mi farebbe piacere se potessimo darci del tu, ma nel caso si sentisse più a suo agio con il “lei” andrebbe ugualmente bene.
Grazie per l’attenzione e per la sua condivisione.
Cari saluti.
Monica
15 luglio 2020 @ 19:24
Oddio, non è mica tanto facile, sa? Noi esseri umani abituati al “volere” secondo la nostra mentalità, il tipo di educazione ricevuto, lo stile che ci è stato dato o che abbiamo scelto di intraprendere, secondo una architettura che ci inquadrano tipi di aspettative e grazie alle quali abbiamo acquisito una “linea di guida” o di veduta che “forgia” dei tipi di gusti, e che quindi di conseguenza crea un nostro “campo visivo” che ci mostra solo aspetti della vita e della realtà a cui finiamo per abituarci, amalgamarci, radicarci, davanti a quello che invece sembra diverso da quanto riferito a qui sopra scritto, in seguito ed in fede al nostro abituale ed abitudinario, ci, si potrebbe dire, mettiamo “in guardia”. Abituati a ciò che conosciamo nel nostro “campo del solito”, ci sentiamo spiazzati da cio che è insolito, in quanto “fuori” dal nostro campo. Il diverso da ciò che vediamo nel nostro cono visivo delle aspettative abituale, ci spaventa, se il termine calza, e ci fa assumere tipi di reazione che molte volte assumono tonalità di tipo repulsivo, che si vedomo in comportamenti e/o atteggiamenti di difesa, resistenza, rifiuto, fobia, quali, appunto, quelli citati nel Suo articolo. Accettare, difatti è un lavoro interiore che implica il rimodellamento, la rivoluzione, se non addirittura il rifacimento dei nostri schemi abituali finalizzato ad un’apertura ed ad un ampliamento del nostro campo abituale ed abitudinario. Credo che la difficoltà di accettare e la sofferenza, siano forse una concomitanza di questa resistenza a cui Lei si riferisce da un lato ed il non voler, non dico lasciare o abbandonare, anche perchè son sempre parti del nostro essere individuale e, perché no, anche collettivo, ma quanto meno uscire, sporgersi, mettere la testa fuori dal nostro schema abituale.
Sono avviamente mie interpretazioni, ognuno è libero di formulare le sue proprie.
Un Saluto ed un sincero Grazie per l’articolo che Lei ha scritto fornendoci la possibilità di meglio conoscere il nostro io interiore.
Bruno Galletta
22 luglio 2020 @ 10:57
Grazie a lei Bruno per il suo contributo e la condivisione del suo pensiero.
E’ tanto tempo che non scrivo su questo blog e non passo di qui spesso, quindi mi scuso per il ritardo della risposta.
Il mio percorso di ricerca negli ultimi tempi mi ha fatto approdare a una visione nuova sulla vita che, seppure molto affine a quella espressa nei vari articoli di questo blog, mi sta regalando ulteriori profonde comprensioni che spero di riuscire presto a condividere in un nuovo articolo. Vedere che ogni tanto qualcuno passa di qui e legge ciò che scrivo rappresenta un’ulteriore motivazione.
Grazie ancora.
Tanti auguri per tutto.
Monica