L’illusione del sé separato
L’illusione del sé separato rappresenta la causa fondamentale della sofferenza psicologica dell’essere umano, la base su cui è costruito lo stato d’ignoranza in cui si trova intrappolato e che gli impedisce di riconoscere la Realtà della sua natura.
Molti di noi, senz’altro la maggior parte, se fossero chiamati a descrivere chi o cosa pensano di essere, si ritroverebbero a fornire definizioni del tipo “sono un uomo”, “sono una donna”, “sono un essere umano”, “sono Mario”, sono Giulia”, “sono un insieme di cellule”, “sono la mia mente”, e gli esempi potrebbero continuare.
Provando a riflettere su ciò che si trova al centro di ognuna di queste risposte, su ciò che, per così dire, ne rappresenta il cuore e le accomuna tutte, credo non sarà difficile trovarsi d’accordo sul fatto che, nel fornirle, ognuno di noi faccia riferimento ad un “senso d’individualità”, al percepire se stesso come qualcuno o qualcosa di “circoscritto”, separato dagli altri e da tutto ciò che lo circonda.
Facilmente la sensazione provata nel cercare di rispondere alla domanda “Chi o cosa sono io?” è quella di sentirsi “un corpo” all’interno del quale è “racchiusa” una coscienza (che potrebbe essere definita in tanti altri modi, per esempio spirito, anima, soffio vitale, psiche, energia, esistenza, ecc…ognuno userebbe il suo), in ogni caso un “principio vitale” che anima il corpo, che è in esso contenuto e che nel corpo trova il suo “confine” di divisione tra interno ed esterno, di separazione dagli altri e dal mondo.
Il messaggio della Non Dualità ci invita ad esplorare meglio questa convinzione, smettendo di darla “per scontata”, piuttosto indagandola attraverso la nostra esperienza, senza più basarci su “concetti” appresi e mai veramente analizzati personalmente, per giungere a scoprirne l’illusorietà e, così facendo, liberarci dallo stato d’ignoranza che ci imprigiona e ci procura tanta sofferenza.
Attraverso l’indagine che intraprenderemo per rispondere alla domanda “chi o cosa sono io?”, scopriremo che la “materialità” oggettiva ed evidente che attribuiamo al nostro corpo e agli oggetti esterni da esso separati, ha una “consistenza” soltanto “apparente”.
Un’esplorazione seria, attenta e, soprattutto, libera da pregiudizi, sulla Realtà della nostra natura, ci condurrà a riconoscere la falsità della credenza fondamentale che sostiene il nostro senso d’identità e di separazione, quella che ci fa credere di avere una coscienza individuale, con cui ci identifichiamo profondamente, contenuta in un corpo e separata da quella delle altre persone.
Dirigendo l’attenzione verso “Ciò” che in noi conosce, piuttosto che verso ciò che è conosciuto, verso “Ciò” che si rende conto di quello che accade, piuttosto che verso gli eventi che accadono (fra loro sono da annoverare anche i pensieri e le emozioni), potremo entrare in contatto con un “senso di esistenza” che, se da un lato riconosceremo come l’aspetto più certo della nostra esperienza, dall’altro ci apparirà come “inafferrabile”, non chiaramente “definibile”, mancante di caratteristiche precise, soprattutto scopriremo di non poterlo descrivere con aggettivi come “limitato”, “separato”, “confinato”, “diviso”.
Quello che avviene alla maggior parte di noi, e che riguarda anche la vita dei “Maestri” (persone, cioè, che durante la loro esistenza hanno riconosciuto la Verità ed hanno poi cercato di indicarla ai loro simili), potrebbe essere descritto in questo modo: dopo la nascita, per un periodo di circa 2 anni, ogni bambino vive in una spontanea e naturale condizione di “unione” totale con tutto ciò che accade nella sua esperienza; basterebbe osservare attentamente un neonato, liberi da pregiudizi concettuali, per renderci conto che tutto ciò che si verifica nell’ambiente che la mente adulta definisce “esterno”, nella percezione del bambino non è veramente “separato” da lui: il suono di un aereo che passa non è per lui qualcosa di “diverso” da se stesso, l’acqua che gli bagna le manine è “indistinguibile” da lui, il seno della madre non è “altro” da lui, lui si sente UNO con tutto ciò che in ogni momento accade nella sua esperienza. Forse sarebbe meglio dire che “lui è la sua esperienza”.
Nei primi due anni di vita, ogni bambino vive con assoluta semplicità e naturalezza la Realtà di Ciò che è, senza però averne consapevolezza.
Quello che inizia dopo questi primi due anni, è un processo di graduale ma stabile e continua identificazione con un’individualità “separata”, che ha un corpo, una mente, un nome (significativa, a questo proposito, la breve fase di transizione in cui molti bambini si riferiscono a quel sé indicato dal proprio nome di battesimo, parlandone in terza persona, indicandolo come riferendosi a qualcun altro)
In questo lungo periodo di sviluppo, la vasta Coscienza senza limiti che è la nostra Realtà, verrà gradualmente ma inevitabilmente percepita come ristretta e confinata all’interno del proprio corpo, coincidente con la propria mente, separata da tutto ciò che sarà sempre più avvertito come esterno e distinto da sé.
E’ importante chiarire che questo processo di “identificazione” con un “sé personale e separato” è in qualche modo necessario, inevitabile e “utile” alla vita sociale che viviamo su questo pianeta; si potrebbe affermare che rappresenti un passaggio obbligato e indispensabile per poter raggiungere la completa consapevolezza della Vera Natura della Realtà, quindi della nostra Vera natura. Soltanto dopo una fase di identificazione potrà iniziarne una di “disidentificazione”, attraverso la quale possa accadere il “risveglio”, il riconoscimento della nostra Essenza, la consapevolezza di Ciò che siamo al posto di ciò che pensiamo di essere, la realizzazione che quella che identificavamo come “nostra” coscienza, rinchiusa nel corpo e separata dalle altre coscienze, in verità non ha confini, non ha limiti, non è contenuta al nostro interno e distinta dal mondo esterno, non ha le caratteristiche di un oggetto, non può essere definita, descritta, circoscritta, individuata, non è “personale”, può soltanto essere “indicata” da aggettivi come inafferrabile, sconfinata, evanescente, trasparente, vuota, seppure, al contempo, rappresenti la nostra più grande certezza.
La mia speranza è che questo scritto possa rappresentare uno stimolo per chi le legge ad indagare sulla sua vera natura, possa far sorgere il desiderio di rispondere alla domanda “Chi o Cosa sono io?” basandosi principalmente sulla propria esperienza e comprensione.
Se, per rispondere a questa fondamentale domanda, non ci si limiterà a fornire risposte precostituite (che, se osservate con attenzione alla luce della propria esperienza, si riveleranno non vere) e, passando attraverso il dubbio e la messa in discussione, si arriverà a provare un senso di “disorientamento” e di “insicurezza”, percependo un profondo ed autentico “non so”, queste mie parole avranno svolto la loro funzione.
Per verificare ciò che indicano, non sarà sufficiente leggerle, sarà necessario indagare, sentire il desiderio di farlo, sapendo che la comprensione che ci attende con questa esplorazione ci condurrà al contatto e al riconoscimento di Ciò che veramente siamo, dissolvendo, in questo modo, “l’illusione del sé separato”, quindi liberandoci dalla principale fonte della nostra sofferenza psicologica.
Monica
Franco
8 dicembre 2018 @ 23:48
Beh no e’ scorretto.Premesso che da bambini nn e’ vero che non distinguamo se dall’altro ma il Filtro del Mondo(Mamma)e’ l’oggetto di interposizione sul mondo.Tutto l’umano e’ provato attraverso Mamma nel Mondo.Mamma e’ il Mondo fonte di ogni soddisfazione in una Unita`ideale.Corpo emozione e mente sono Uno.Ben presto lo sguardo nn sara`Uno ma Mio.Questo implica angoscia di disintegrazione.Se riesce il passaggio la persona si sentira’ separata dall’altro consapevole che quella esperienza primaria Ideale e autosufficiente in se stessa possa essere riesperita attraverso la sessualita’ adulta con la donna che ami.I Maestri nn hanno molto da insegnare.Di solito sono 4 massoni alle nostre latitudini.La perdita e la minaccia di quella unita`simbiotica sviluppa angoscia.Se nn si supera la persona la sposta nelle immagini(psicosi allucinatoria)o nel corpo(psicosomatica).La fonte dell’angoscia senza un contenuto rappresentabile.Io nn condivido questo articolo.
Monica
15 dicembre 2018 @ 19:12
Grazie per il tuo commento Franco.
Innanzitutto mi scuso con te per il ritardo con cui lo sto pubblicando, ma ultimamente non c’è dubbio che io abbia trascurato il blog e sia passata di qua raramente. Mi sto interrogando sul motivo per cui sta succedendo, lo stesso motivo, fra l’altro, per cui è tanto tempo che non scrivo un articolo, ma ho intenzione di dedicare a questa riflessione uno spazio diverso da questo, pur rendendomi conto che le considerazioni che il tuo contributo ha suscitato nella mia mente, a tale riflessione appartengono.
Non ti nascondo che ho riletto diverse volte le tue parole, ma non sono sicura di averne compreso appieno il significato. Senza dubbio mi hanno spinto a rileggere ciò che avevo scritto più di quattro anni fa e ciò mi ha permesso di rendermi conto che la mia comprensione attuale mi porterebbe a scrivere molti passaggi di questo articolo in modo diverso. Forse provando a chiarire alcuni concetti e descrivendo diversamente la mia esperienza.
Il passaggio su cui si concentra il tuo dissenso mi sembra sia quello dove cerco di descrivere l’esperienza di un neonato come contraddistinta dall’assenza di separazione fra sé e il mondo.
Forse oggi userei un altro modo per esprimere la stessa realtà, quasi certamente non parlerei di una mancanza di separazione, né di un’unione, perché in entrambe queste espressioni vengono sottintesi due elementi fra cui, appunto, non c’è separazione o c’è unione. Per descrivere in modo più adeguato l’esperienza di un neonato sarebbe senz’altro meglio affermare che “c’è solo esperienza”. Non è corretto parlare di un neonato che è tutt’uno con la sua esperienza e non avverte separazione, perché questa espressione presuppone l’esistenza di due dimensioni, di due realtà, sarebbe più appropriato dire che “c’è solo l’esperienza”, che la realtà del neonato è ciò che percepisce: è un suono, un colore, un sapore, una sensazione tattile, un odore. Solo gradualmente la sensazione tattile diventerà il “suo” corpo e ciò che vede, ascolta, assapora, annusa sarà creduto separato e diverso da sé, pur non essendolo in realtà.
jose garcia
26 gennaio 2019 @ 16:28
Complimenti Monica, un bel articolo, chiaro, sintetico e facile da leggere. Certo, più difficile di mettere in pratica, perché dopo decenni di dualismo non è da tutti fare subito esperienza dell’insegnamento senza qualcuno che serva, quando meno all’inzio, da traghettatore. Anche in quei casi che riusciamo da soli, o guidati, c’è da pagare il conto salatissimo che il sè separato continua a presentarci, sotto forme di fobbie, fisazzioni, dubbi, e tante altre forme di resistenza, per cercare di sopravivere. Complimenti ancora e in grande attesa per un seguito. Jose
Monica
27 gennaio 2019 @ 17:35
Grazie per il tuo contributo e per l’apprezzamento che esprimi su questo articolo Jose,
dalle tue parole mi sembra di capire che anche la tua ricerca ti sta portando ad affrontare molte forme di “resistenza” del sé separato che non vuole “mollare la presa”. La mia comprensione mi ha condotto a riconoscere ogni forma, dalla più piacevole alla più spiacevole come “me”, un “me” universale che comprende tutto e tutti. Tale riconoscimento, anche se sempre presente a livello intellettuale, è stato da me vissuto solo in brevi attimi fuori dal tempo, in cui il me personale si è dissolto in ogni forma che stava apparendo in quel momento.
Ti auguro di vivere lo stesso riconoscimento e di farne tesoro per affrontare con una diversa consapevolezza il ritorno all’identificazione con il sé personale e separato che tanta sofferenza ci procura. Molto probabilmente tale ritorno ci sarà anche per te, ma l’identificazione con il sé personale si allenterà gradualmente, e chissà che un giorno possa anche non tornare più.
Un caro saluto.
Monica